domenica 14 agosto 2016

Hitler e il campione afroamericano Owens

Oggi, la storia che abbiamo scelto dallo scrigno della memoria olimpiaca, ci porta nella Germania nazista e allo storico incontro tra Hilter e il campione afroamericano Owens.
Europa, 1936: i totalitarismi impazzano, dilagano; il fascismo in Italia, il Nazismo in Germania e il franchismo che inizia quella guerra civile che lo condurrà ad imporsi in Spagna in pochi anni. In questo clima di forti tensioni ci si appresta ad avvicinarsi ai Giochi tedeschi. Si, proprio quella Germania nazista e razzista avrà il paradossale compito di incarnare, almeno per alcuni giorni, quegli ideali di fratellanza universale propria dello spirito di Olimpia. Una scelta “figlia” dell’epoca di Weimar e a nulla valgono le proteste del presidente americano Franklin Delano Roosevelt che vorrebbe un cambio di sede, si va a Berlino.

Con l’organizzazione delle Olimpiadi del 1936 il regime nazista, come ogni altro totalitarismo, intendeva fare dello sport un efficace veicolo propagandistico nonché “esibire” al mondo intero la superiorità dell’ “uomo nuovo” da esso forgiato. Lo stesso documentario Olympia della “regista del regime” Leni Rifenstahl intendeva celebrare la magnificenza del regime e del popolo tedesco in una sinfonia di forme e fisici deliri. Le vittorie dello statunitense di colore Jesse Owens, avrebbero finito col rovinare i “piani” dei nazisti e di Adolf Hitler.
“Figlio” del profondo sud degli Stati Uniti (era nato nel 1913 a Oakville, in Alabama) l’afroamericano Owens stupisce tutti vincendo 4 ori (record eguagliato da Carl Lewis solo nel 1984, nda): il 3 agosto 1936 Owens vince i 100 m, il 4 agosto il salto in lungo – battendo il tedesco Luz Long– il 5 agosto i 200 m e il 9 agosto la staffetta 4×100. Un’affermazione che come prevedibile finisce con l’irritare il dittatore tedesco il quale, si dice, dopo la sconfitta di Long lascia lo stadio pur di non stringere la mano a Owens. Tuttavia tempo dopo in un suo libro Owens avrebbe affermato: « Quel giorno, dopo essere salito sul podio del vincitore, passai davanti alla tribuna d’onore per rientrare negli spogliatoi. Il cancelliere tedesco mi guardò, si alzò in piedi e mi salutò con un cenno della mano. E io feci altrettanto».
Fabrizio Silvestri – Giovanni Fenu

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